VOTO: L’IPOTESI DEL COLPO DI CODA


VOTO: L’IPOTESI DEL COLPO DI CODA


Giuseppe Sacco



Le elezioni politiche di un Paese come l’Italia, retto da ormai settantacinque anni secondo le regole di una approssimativa democrazia a suffragio universale, possono apparire a seconda dei casi e delle situazioni come eventi di natura diversa

Una consultazione elettorale può infatti essere vista – come accadeva in passato nelle democrazie in cui è forte il cosiddetto “consenso passivo” – un semplice momento di valutazione popolare, l’occasione per fare un bilancio del comportamento della classe politica rimasta in carica per un certo numero di anni. e dei risultati da essa ottenuti.

In casi estremi, però, questa valutazione può diventare addirittura un processo al presente e
al passato, tramutarsi nell’occasione per reagire ad una situazione venutasi consolidandosi ad
opera di più governi precedenti. Nel voto, allora preponderante un altro elemento, che è
comunque presente, anche se talora implicito, in ogni consultazione elettorale: quello di scelte
per politiche diverse da quelle del passato, scelte talora radicalmente innovative. Ed è difficile
nascondersi che ciò è quello che si è tentato, o detto di voler fare in Italia, ormai da più di un
decennio, ad ogni scadenza elettorale: cambiare passo, rinnovare la classe politica.

A quale di queste categorie di eventi – ci si potrebbe chiedere – appartiene la consultazione
elettorale di domani, 25 Settembre ? La risposta, a prima vista, può sembrare evidente. Come
si è già avuto occasione di spiegare in questa stessa sede (Clicca QUI, Astensione o voto a
dispetto), se le elezioni di domani fossero un esame del governo uscente, sarebbe del tutto
logica una decisone radicale, quella di bocciare e spazzar via i cosiddetti 5 Stelle.

E considerare come un dato acquisito ed inevitabile, ed anche logico e naturale, che l’ondata di
rabbia e la voglia di rinnovamento che nel 2018 li portarono al vertice della politica italiana,
tutt’altro che esaurite dopo la loro partecipazione a tre diverse maggioranze, li abbiano
abbandonati e si siano spostate a servirsi, come portatrici della protesta, di Giorgia Meloni
e del suo partito.

Una “direzione difficile”

Domani, gli Italiani si recheranno dunque ai seggi per consacrare nelle urne quello che
durante tutta la campagna elettorale è parso – e forse è ancora – un risultato scontato; una
scelta di cambiamento radicale. Una scelta che però ha già fatto torcere il naso a non pochi; in
primo luogo alla Presidente della Commissione Europea, Von der Leyen. La quale, con
delicatezza tutta germanica, per prima cosa ha fatto un paragone con la Svezia, dove al primo
posto si è qualificato un partito dichiaratamente nazista. Poi si è intromessa minacciosamente
nelle questioni interne italiane dichiarando: “vedremo il risultato del voto in Italia …….. Se le
cose andassero in una direzione difficile, abbiamo degli strumenti, come nel caso di Polonia e
Ungheria.” Forse non aveva tutti torti la Signora Theresa May – Primo Ministro del Regno Unito
(2016-19) tra la sconfitta di Cameron al referendum sul Brexit e l’avvento di Boris Johnson –
quando denunciò il tentativo della UE di interferire nelle elezioni britanniche.

Vale perciò la pena di notare che, certamente non a caso, quasi il 40 % dei nostri concittadini
sembra disposto ad accettare un risultato di questo genere: ma aggiungendo la precisazione
“non col mio voto”. Perché in definitiva è questo il senso del restarsene a casa in una
situazione in cui tutti i sondaggi indicano già il nome dello schieramento vincente e persino
quello del (o, meglio) della probabile Presidente del Consiglio.

A pochi giorni, anzi a poche ore, dall’election day, un fenomeno imprevisto sembra però
venuto a ravvivare il clima pesante e annoiato che regnava sul Paese.
Dal Mezzogiorno, dove non a caso si sono, in questi ultimi giorni, recati tutti i principali
esponenti delle forze in lizza, sono infatti giunte notizie che segnalano una risposta
insolitamente favorevole dell’opinione pubblica alla campagna elettorale del Movimento
Cinque Stelle, che tutti i sondaggi pre-elettorali davano invece in caduta, se non libera, certo
assai netta, ed in declino di attenzione da parte dell’opinione pubblica.

Un revival del “voto di scambio” ?

Come si spiega questa sorta di rinascita di un movimento che, specie nella parte iniziale della
precedente legislatura ha sbagliato tutto, che ha talora dato ascolto ad alcuni perfetti imbecilli
applaudendoli come intellettuali o addirittura come maitres à penser? E il cui operato,
soprattutto il demagogico taglio del numero di Deputati e Senatori, non può che suscitare
rabbia. E non solo per il contributo dato alla quasi sterilizzazione, nella vita politica italiana, di
un organo vitale come il Parlamento: Ma anche, come si vede proprio in questi giorni, per la
forte complicazione del sistema elettorale, cioè della capacità del popolo italiano di esprimere
la propria sovranità.

Ma la rabbia di chi? Soprattutto la rabbia di quella parte del paese che si esprime soprattutto
attraverso le forze “centriste”, e che giustamente si preoccupa per l’evidente passaggio in
corso della Repubblica italiana dalla democrazia alla demagogia. Ma certo non di coloro a
favore dei quali è rivolta una distribuzione di ricchezza quale è stato sinora il “reddito di
cittadinanza”, distribuzione che ha avuto scarsi effetti sulla struttura produttiva del Paese. E
certo, infine non la rabb di quella parte dell’opinione pubblica che è stata ad ogni
competizione elettorale insultata con sollecitazioni a votare per questo o quel partito a colpi
di regalie.
Essendo, quella assai attivamente condotta al Sud da Giuseppe Conte, una campagna
incentrata soprattutto sulla difesa del “reddito di cittadinanza”, è stato inevitabile che si
parlasse – da parte dei grandi giornali e dai centri di potere del Nord – di clientelismo o
addirittura di “voto di scambio”.

E’ come – ha scritto Antonio Polito sul Corriere – “se i partiti considerassero ormai esaurito il
“voto d’opinione” al Nord, e volessero, negli ultimi giorni di campagna elettorale, raschiare il
barile del “voto di scambio”, convinti di trovarlo dal Garigliano in giù.”. E aggiunge: “E’ da
molti anni infatti, che nelle competizioni elettorali non si confrontano più idee per il Paese, ma
si offrono baratti a categorie e gruppi sociali. Al Sud, sia cinque anni fa che oggi, il reddito di
cittadinanza è stato usato dai Cinque Stelle come il surrogato di una politica meridionalistica
che non c’è”.

Un fenomeno che spariglia le carte ?

Una lettura meno rozza di questo fenomeno è tuttavia possibile; ed anche doverosa. Senza per
questo voler negare che la più debole condizione economica degli elettori meridionali rispetto
a quelli del Nord abbia un ruolo in questa loro sensibilità più per il tema del “reddito di
cittadinanza”, che non – per esempio – per il tema della riduzione dell’orario di lavoro.

C’è in primo luogo da considerare non solo del fatto che su gli oltre 2,5 milioni di percettori
del “reddito di cittadinanza”, due terzi sono nel Meridione (di cui, pare, 700.000 nella sola
Sicilia). E poi da tener conto della situazione generale dovuta alla guerra in Ucraina, una
situazione di imminente recessione, a livello sia nazionale che internazionale. C’é da tener
dell’esplosione dell’inflazione, incarnata per il momento soprattutto dal caro bollette, ma
anche dei prezzi degli alimentari nei supermercati. E c’è infine da tenere conto della facile
previsione secondo la quale, a causa della crisi internazionale patentemente in atto, il domani
sarà peggiore dell’oggi. Il che spiega le ragioni della popolarità di cui gode il “reddito di
cittadinanza” anche presso quelli – e sono molti – che attualmente non lo percepiscono, ma
vedono in esso una possibile ancora di salvezza qualora dovessero essere licenziati, o costretti
a rinunciare ad una occupazione sicura e regolare.

Gioca insomma a favore dei 5 Stelle il fatto di essere gli unici che difendono il reddito di
cittadinanza così com’é, e non come dovrebbe essere, cioè coniugato con le cosiddette
“politiche attive del lavoro”. Una misura – il “reddito di cittadinanza” – di cui tutti parlano,
facendola apparire perciò minacciata dalle altre forze politiche. Compreso il PD, che – a forza
di proporre obiettivi di ordine più generale e di aspettative irrealizzabili – ha finito per
perdere l’immagine del partito che difende quelli economicamente e socialmente più deboli.

Si tratta di obiettivi e di aspettative che hanno ovviamente respinto ai margini dell’attenzione
delle famiglie ogni preteso scontro ideologico tra i partiti, lasciando che questa attenzione si
polarizzasse ad un livello più concreto. E che hanno rilanciato – a scapito del fascino delle
promesse elettorali – il bisogno di molte famiglie di sentirsi protette e sostenute nella difesa
del poco di cui esse già dispongono.

Di fronte alla minaccia dell’inflazione e della guerra, le famiglie del Sus desiderano soprattutto
non perdere il poco che già hanno. Del programma dei 5 Stelle considerano molto importante
non già la proposta di una riduzione dell’orario di lavoro, bensì il “reddito di cittadinanza”.
(Nonché, ovviamente, lo scetticismo di Conte riguardo all’estremismo bellicoso di Letta e di
Mario Draghi) (CLICCA QUI, Le elezioni e la guerra). Il che vale per tutta l’Italia, non solo per il
Mezzogiorno, anche se quest’ultimo è ovviamente la parte della società italiana che la sta
avvertendo per prima e più dolorosamente le minacce incombenti.

Non solo il Sud

Basta, per aver conferma del fatto che il Nord non è escluso dal fenomeno, prestare attenzione
alla scelta di Salvini di giocare a pieno, oggi, a fini elettorali, l’emergenza bollette per i piccoli e
piccolissimi imprenditori. E usa la carta dell’emergenza bollette come e più di come usò il
dramma degli sbarchi dei migranti nel Maggio del 2019, al momento delle elezioni europee.
Una scelta la cui efficacia venne confermata dalle cifre. Tanto che, alla vigilia delle elezioni
politiche del 4 marzo 2018, la Lega di Salvini era intorno al 13%. E l’anno dopo, il Carroccio
era già al di sopra del 30%.

Sotto un altro profilo, più propriamente politico, è questo poi un fenomeno che potrebbe
aprire un piccolo spiraglio nell’intera partita elettorale, non solo al Sud, e non solo a sinistra.
Nel senso che il M5S, quale esso è oggi, dopo l’avvento di Conte alla sua leadership, potrebbe
essere visto come un’alternativa forse politicamente utilizzabile dal non piccolo numero di
elettori che si considerano progressisti, ma che sino a ieri pensavano di attribuire significato
politico all’astensione, non presentandosi neanche al seggio elettorale, anziché votare PD, o
disperdere il proprio voto su formazioni minori.

Questo elemento dinamico che è venuto in extremis ad inserirsi in una situazione su cui
l’elettore non aveva nessun possibilità di incidere, potrebbe insomma aprire uno spiraglio
nelle prospettive stesse della consultazione elettorale. Un significativo flusso di voti verso i
cinque stelle potrebbe infatti – secondo calcoli separati ma coincidenti nelle conclusioni non
solo di un osservatore “di parte” come Marco Travaglio, ma anche di un vero esperto come
Clemente Mastella – mettere in discussione l’attesa maggioranza delle destre, se non alla
Camera dei Deputati, almeno al Senato.

Se è dunque ancora probabile che la data di domani passi alla storia d’Italia come un
ennesimo “giorno della rabbia”, non differentemente da ogni recente consultazione elettorale,
il 25 Settembre 2022 potrebbe essere anche il giorno di una scelta non del tutto negativa per
il futuro. A condizione però che queste sorprese dell’ultimo minuto abbiano ragione di un
astensionismo che alla fine si traduce in un atteggiamento accomodante verso l’estrema
destra.

©Giuseppe Sacco20220923

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