GLI ERRORI DI TRUMP E QUELLI DI BIDEN


GLI ERRORI DI TRUMP E QUELLI DI BIDEN


Giuseppe Sacco



I nemici pericolosi vadano accarezzati o spenti, ma giammai inefficacemente offesi.

Sarebbe difficile, e certamente sbagliato dal punto di vista degli interessi dell’Italia, nascondersi che la situazione internazionale evolve da qualche settimana in maniera preoccupante. Come non bastassero i problemi – gravi e tutt’altro che risolti – posti dalla pandemia, infatti, Washington ha assunto una posizione molto più dura che in passato nei confronti della Russia e della Cina. errori commessi da Trump in sede internazionale sono indubbiamente stati molti, gravi, e ripetuti, perché derivanti da una impostazione generale estremamente rozza, che andrà analizzata in altra sede. Eppure, ci si può chiedere se ad essi non si stiano oggi aggiungendo nuovi ed ulteriori errori che Biden rischia di commettere, almeno a giudicare dalle iniziative prese in questi due primi mesi della sua presidenza, e dai suoi comportamenti poco diplomatici.

Ma Putin è un assassino !

Il caso più eclatante è senza dubbio quello di aver risposto in maniera esplicitamente positiva alla domanda di un giornalista, se Putin sia “un assassino”; una vera e propria gaffe, dato che si tratta del Presidente di un paese importante con il quale bisogna – e si spera si potrà ancora a lungo – convivere sullo stesso pianeta. Ma una gaffe che ha suscitato da parte dello stesso Putin una reazione sarcastica chiaramente  volta a sdrammatizzare la situazione. Perché Mosca – nella consapevolezza della Russia di essere oggi molto più debole dell’America – ha cercato di limitare i danni al già difficile rapporto tra i due paesi.

Ma agli occhi in ogni osservatore americano, il modo in cui il neo-Presidente è caduto nella trappola tesagli da un paparazzo in cerca di notorietà è apparsa quasi come una riabilitazione di Trump, del quale invece,  negli ultimi tempi, ci si è tanto accaniti a sottolineare gli errori più maldestri.  Perché non molti hanno dimenticato, anzi quasi tutti ricordano ancora molto vivamente, come quel bizzarro ex presidente dai buffi capelli gialli reagì di fronte all’isteria di un celeberrimo conduttore televisivo, noto ripetitore del “pensiero unico” politicamente corretto, che di fronte alla dichiarazione del Presidente di voler migliorare i rapporti con la Russia, aveva esclamato: “ Ma Putin è un assassino!”

Trump infatti non si scompose. E non rispose. O meglio, rispose con una domanda che lo fece apparire quasi come un antico filosofo greco: “Perché? tu credi per davvero che noi siamo tanto innocenti?”

Una pesante eredità: da imparare a gestire

Ogni nostalgia “trumpiana” è naturalmente impossibile, e sarebbe francamente un segno di scarsa intelligenza, vista l’eredità di problemi da lui creati e trasmessi al suo successore alla Casa Bianca. Ed ancor più di quelli consegnati agli alleati dell’America: una serie di problemi irrisolti dal fatto di aver condotto in maniera velleitaria e inconcludente la sua politica di distensione collaborativa con Mosca.

Non ultimo, tra i paesi danneggiati da questa politica trumpiana è l’Italia, uno dei paesi che più soffre economicamente delle sanzioni che erano state imposte alla Russia dopo la crisi Ucraina. Una crisi che, peraltro, già alla sua origine, nel 2014, fu scatenata altrettanto in funzione anti-tedesca che anti-russa, per scoraggiare l’attivismo imprenditoriale e diplomatico di Berlino nell’ex impero del Cremlino, e persino nei territori della stessa ex-Urss.

Proprio la complessità delle questioni lasciate aperte dal rozzo “realismo” di Trump renderebbe necessaria – nell’era Biden – una dose aggiuntiva di capacità politica e di cautela diplomatica di cui, almeno in questa fase di rodaggio si è notata, nei ranghi della nuova Amministrazione, una evidente scarsità. Fino a pochi giorni fa sembrava però possibile, così come sperabile che, una volta a regime, Biden confermasse di essere quello che è stato sempre considerato: un uomo moderato ed un politico di buon senso.

Proprio pochi giorni fa, invece, gli USA hanno coinvolto l’Unione Europea nell’applicazione di tutta una serie di sanzioni a personalità russe tra cui il Capo dei Servizi Segreti (FSB) e i due viceministri alla Difesa. Sanzioni per le quali Dominic Raab Ministro degli Esteri della Gran Bretagna si è subito precipitato ad esprimere il proprio compiacimento. Ed è stata un’iniziativa che – come reazione – ha portato la Russia a dichiarare che d’ora in poi non avrà più rapporti con la UE ma solo bilateralmente con i singoli Stati membri.

Si tratta di un’altra formidabile mazzata inferta alle istituzioni comunitarie che già tanto discredito hanno accumulato in questo ultimo anno a causa della la pessima gestione dei vaccini,

Ma si tratta anche di un’iniziativa che alla fine si è risolta a vantaggio della Germania, e a danno di tutti gli altri paesi membri. Di un’occasione per Berlino di trattare bilateralmente con Mosca questioni come il gasdotto Nord Stream II e tutta una serie di cooperazioni tecnologiche, tra cui l’uso dell’Idrogeno come combustibile. E non è chiaro perché mai funzionari ed eurodeputati di nazionalità diversa da quella tedesca si siano prestati ad una iniziativa del genere. Visto che alla UE nel suo insieme resterà il costo delle sanzioni imposte alla Russia, mentre Berlino “farà da sé” nei profittevoli rapporti con Mosca.

Il dossier cinese

Sul tavolo della diplomazia internazionale c’è poi, già aperto e particolarmente urgente, anzi di urgenza quotidianamente crescente, un altro dossier, quello dei rapporti con la Cina. Dossierche la situazione determinatasi dopo un anno di pandemia, con la Cina vittoriosa sul morbo, ed in piena ricostruzione, arricchisce giorno dopo giorno di significati nuovi. Ciò nonostante i mediocri tentativi di Trump, saggiamente lasciati sinora cadere da Biden, di incollare al Covid-19 l’etichetta di “virus cinese”, e magari di farne motivazione per chiedere a Pechino i “danni di guerra”.

Quel che rende più complesso il rapporto sino-americano, e richiede che venga affrontato con capacità innovativa, è il crescente dissenso suscitato all’interno degli stessi Stati Uniti dall’atteggiamento di aperta ostilità dimostrata – negli ultimissimi giorni –  dalla delegazione americana al vertice bilaterale di Anchorage, in Alaska. Molti hanno notato che era questa la prima volta che una cosa del genere accadeva dopo gli incidenti di Piazza Tien An Men, nel 1989, quando la Cina attuale doveva ancora nascere; solo alcuni hanno espresso una critica di tipo diverso, ma si tratta di una componente assolutamente cruciale della Nazione

Il vero problema della linea del confronto molto duro con la Cina scelta dalla amministrazione Biden si trova all’interno degli Stati Uniti. Gli ambienti più sofisticati, quelli scientifici, economici, e di gestione del capitale innovativo ritengono infatti che il rapporto con la Cina debba essere non quello di una chiusura reciproca, bensì una forte concorrenza nel campo della politica scientifico-industriale, per stabilire quale dei due paesi sarà nei prossimi decenni il leader in campo tecnologico,  mentre in altri campi si dovrà collaborare, in particolare nel miglioramento climatico e soprattutto nel campo dell’organizzazione del commercio.

La forza della smart economy

L’America che conta – quella che tutto il mondo ammira, e che in fondo tutti amamno, quella di Silicon Valley, della Nasa, dell’MIT – ritiene infatti che la Cina, per la sua struttura sociale e per la natura semipubblica del proprio sistema industriale, potrà competere con gli Stati Uniti ed eguagliarli nel campo scientifico, ma non in quello delle applicazioni tecnologiche.  In questo cruciale campo l’America potrà mantenere la propria superiorità, che sarà di conseguenza anche economica, grazie al dominio dei mercati mondiali. Un dominio che non sarà tuttavia possibile se una contrapposizione troppo aspra con la Cina si estendesse al campo commerciale, con conseguenti misure di protezione del mercato cinese, che è il più grande mercato del mondo e che è quindi indispensabile al dominio globale.

Con la Cina, l’America vera, quella il cui smart power domina e fa evolvere il mondo sa di poter vittoriosamente convivere e competere.  Solo che, a questo fine, anziché scontrarsi frontalmente con essa rispolverando vecchie alleanze della Guerra Fredda, gli Stati Uniti dovrebbero promuovere un’Alleanza delle Democrazie Tecnologicamente avanzate, le cui linee e i cui confini erano già stati tracciati durante la prima amministrazione Obama. E che comprenderebbe ovviamente anche l’Italia.   Le armi con cui tale alleanza dovrebbe combattere non sono però né quelle arcaiche del protezionismo, né quelle della brutale violenza preconizzate dagli ambienti militari, burocratici e dei servizi di intelligence.  Dovrebbe invece svolgere un’azione costruttiva perché il WTO, l’Organizzazione Mondiale del Commercio, anziché porsi come guardiano di regole che appartengono ormai al passato creasse le nuove condizioni di competitività in cui possa esplicarsi la superiorità del sistema occidentale dal punto di vista innovativo e commerciale.

La scarsa coincidenza tra queste prime mosse della Amministrazione Biden sulla scena internazionale e gli interessi della parte più moderna e competitiva della società americana lascia spazio per ipotizzare un rapido ritorno ad uno stile diplomatico più tradizionale e consono al ruolo della potenza leader delle nazioni democratiche e pacifiche dell’Occidente. Tra le quali – sarà bene precisarlo – c’è l’Italia, per la quale gli Stati Uniti rimangono, soprattutto in questo secolo, e alla luce dell’evoluzione europea, l’alleato più logico, naturale ed affidabile.

Il costo degli errori

Un “ritorno alla normale” appare tanto più possibile in quanto già appaiono evidenti i costi allarmati degli errori commessi da Biden in questi primi sue mesi di permanenza alla Casa Bianca. E chiaro infatti che, attaccando verbalmente e minacciando Mosca l’inesperta Amministrazione Biden rischia di ottenere, come unico effetto, quello di gettare la Russia – una potenza atomica non di poco conto, e che avrebbe moltissimo da guadagnare in una collaborazione con l’Occidente e moltissimo da perdere in uno scontro commerciale o addirittura militare – nelle braccia del più forte rivale dell’America, quello asiatico.

Ed infatti già nei giorni scorsi c’è stato un incontro a Guilin, nella Cina meridionale, tra il ministro degli esteri Russo Lavrov e quello Cinese Wang Yi. I quali hanno congiuntamente respinto le sanzioni americane ed europee, ricordando a Washington e a Bruxelles che l’epoca delle ingerenze degli europei in Cina è finita più di un secondo fa, nel 1912, con la rivoluzione repubblicana di Sun Yat Sen.

E che stanno dando a Biden una lezione che forse si sarebbe potuto risparmiare se avesse mai letto quelle poche righe in sui Nicolò Machiavelli spiega come i nemici pericolosi vadano accarezzati o spenti, ma giammai inefficacemente offesi.

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